
“Questo racconto è lo studio sincero e spassionato del come probabilmente devono nascere e svilupparsi nelle più umili condizioni le prime irrequietudini pel benessere; e quale perturbazione debba arrecare in una famigliuola, vissuta sino allora relativamente felice, la vaga bramosìa dell’ignoto, l’accorgersi che non si sta bene, o che si potrebbe star meglio. Il movente dell’attività umana che produce la fiumana del progresso è preso qui alle sue sorgenti, nelle proporzioni più modeste e materiali.”
Quando incontro e conosco per la prima volta Paula Carbini,
Vice Presidente Nottenera, e mi presenta con tenero affetto la Sèrra, mi torna in mente Verga, e la
dedizione descrittiva con cui si accingeva a descrivere il piccolissimo paesino
siciliano di Aci Trezza.
Nottenera parte da qui, dall’esplorazione di Serra de’ Conti, a passo
svelto, perché, a due giorni dal festival, non c’è un minuto da perdere.
Serra è uno di quei gioiellini del centro Italia in cui gli
abitanti sono accomunati dallo stesso sentimento di odi et amo per la terra in cui vivono: una terra troppo piccola da
cui spesso si vuole fuggire, e altrettanto spesso sembra essere il posto più
bello del mondo.
A la Sèrra le
giornate sono ancora molto lunghe, l’alba e il tramonto scandiscono ancora i
silenzi, la chiesa e il circolo muovono ancora le chiacchiere, e l’Arte resta
ancora qualcosa di vago e roba da pazzi.
Come può allora - questo melanconico quadretto romantico -
ospitare la tinta eccentrica dell’Arte?
L’effetto immediato sarà una tela di Jackson Pollock.
Sono incuriosita, Paula mi racconta velocemente come nasce
l’iniziativa Nottenera e l’aneddoto vale la pena di essere raccontato.
Immaginatevi una gang di provincia –
anche senza calzoncini e ginocchia sbucciate – che lamenta a voce alta
l’assenza di una Notte mondana, che sia bianca, rosa o azzurra, ma che sia
mondana, e a casa loro.
La risposta venne, frutto della creatività intellettuale di
Sabri, Paula e l’allora Sindaco Sign. Bruno Massi, e la Notte, tanto voluta dai
giovanissimi del paese, si tinse di Nero, ed oggi, non senza difficoltà,
Nottenera festeggia la sua ottava edizione.
Il tema scelto è L’Invisibile,
per dirlo banalmente con le parole di Antoine de Saint-Exupéry –
l’essenziale invisibile agli occhi. Ciò che non sembra ci sia, eppure c’è.
Così, d’ora in avanti, i miei occhi non cercheranno che ciò che non si vede.
Ne è un caso la “comunità” di Andrea
Silicati, di cui si scoprono i volti, i lineamenti caratteriali che si possono
scogere in essi, ma della comunità neanche l’ombra. Cos’è che occorre affinché
la comunità venga riconosciuta tale? La risposta di Silicati sono le persone,
costrette ad un faccia a faccia non
filtrato, nudo, genuino.
Per Marta e Diego della Via, che si
portano dietro una biografia bellissima, invisibili sono i genitori “presenti e potenti”. Ma anche, e con questo, l’incomunicabilità tra due generazioni,
l’impossibilità di spiegare a una il disorientamento dell’altra, il “tedio della domenica” e la gustosità di
un boero.
Per La Muuf, duo di artigiani-artisti, sono quei luoghi
colpiti da “iettatura sociale”. Un
esempio ne sono le panchine, che nel triste immaginario odierno sono diventate
sinonimo di barbonaggio, di nullafacenza, mentre hanno sì bisogno di tornare ad
occupare il loro ruolo originario: quello dell’incontro, di luogo en plain air
per le chiacchiere, per la lettura del giornale, o di un buon libro; di
riappropriarsi del senso comunitario per il quale nascono.
Per Roberto Scappin e Paola Vannoni di Quotidiana.com,
invisibili sono le piccole morti giornaliere, quelle che vengono inflitte al
bene comune, alla solidarietà o al “pensiero
socialista”. Ciò che ne resta è allora una comunicazione corrotta, monca,
un individualismo sfrenato, i supermercati e due cowboy stanchi, arresi,
inconcludenti e testardamente inetti.
Per Helen Cerina invisibile è il particolare, perso nella
frenesia e nel caos odierno. La Compagnia mette allora a fuoco il dettaglio,
riappropria la gestualità della sua carica simbolica e significativa. La
immortala, l’accelera, la sposta in location che non gli appartengono e la
esalta attraverso i movimenti della danza.
Per Caio e Clement di Soralino, invisibili sono l’equilibrio
e il disquilibrio, ma anche la gravità, che caparbiamente sfidano attraverso un
circo di scatole di cartone.
Ciascun artista dà voce al suo invisibile, i canali
espressivi sono davvero tantissimi, sono le infinite possibilità dell’Arte.
Nottenera le sprigiona tutte insieme in una notte di
suggestivo buio in cui la sola luce è quella rivolta al palcoscenico.
Ma invisibili sono anche le storie, quelle degli Artisti,
invisibile è la casualità dei loro incontri e il percorso che li hanno condotti
fin qui. Mi viene in mente la strana coppia di Caio e Clement, due fuori sede a
Parigi, che a Parigi ora ci vivono e oggi Clement fa le vacanze in Italia.
La Sèrra ospita tutto questo, e per dirlo con un riferimento a
Platone tanto caro al graffitismo di Giorgio Bartocci, la reazione non è più
quella pasticciata di una tela di Pollock, ma la dolce accoglienza del
prigioniero che rifiuta l’immobilità culturale e abbraccia la luce fuori della
Caverna.
A modo suo, anche il piccolo paese ha svelato il suo
Invisibile. Ed io l’ho visto, un giorno, affacciandomi alla terrazza che dà
sulle colline. C’era una signora col sinale e suo marito. “Facevano il
pomodoro” – il sugo voglio dire – lo facevano proprio. Mia nonna il pomodoro
non lo fa più, dice che è vecchia e allora lo compra già imbottigliato. Ma io
lo so che queste pratiche demodé ce
le ha dentro, e le custodisce gelosamente nell’invisibilità contemporanea che
non ammette sguardi al passato.
Stiamo andando nella
stessa direzione? Domanda
l’installazione di Simone
Alessandrini. Sì, stiamo andando nella stessa direzione.
“Il meccanismo delle
passioni che la determinano in quelle basse sfere è meno complicato, e potrà
quindi osservarsi con maggior precisione. Basta lasciare al quadro le sue tinte
schiette e tranquille, e il suo disegno semplice."
M.T.