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mercoledì 30 novembre 2016

SPACE METROPOLIZ


QUANDO L'ARTE INCONTRA L'EMARGINAZIONE
di Francesca Palumbo
dal Blog La Lanterna Rossa

Sei stanco di tutto e di tutti. Vorresti ritagliarti uno spazio per te, un posto in cui star tranquillo, poter riflettere, schiarire le idee.
Stai attraversando un momento in cui vorresti staccare la spina dal mondo che ti circonda, perché questa realtà non ti si addice, ti sta stretta e non ti rappresenta più.
Hai mai pensato di andare sulla Luna? Perché no, è un posto disabitato, calmo al punto che potresti annoiarti. Non credo però che ti annoieresti lassù. C’è una vista spettacolare della Terra, così grande e variopinta, circondata dal bagliore di migliaia di stelle.

Forse pensate che stia farneticando, ma esiste un gruppo di astronauti che lo ha fatto davvero.
Un gruppo di persone che non aveva più posto sulla Terra, rifiutato da tutti e che ha perciò deciso di trasferirsi sulla Luna. Queste persone appena arrivate, si sono preoccupate di togliere la bandiera americana, conficcata nel terreno polveroso, perché la Luna è libera e non ci sono nazionalità, razze o bandiere che la identificano. È una Luna meticcia.
La cittadina in cui vivono si chiama Metropoliz ed è una città diversa da quelle a cui siamo abituati. Tutto appartiene a tutti, c’è un grande spazio comune suddiviso tra gli abitanti, ma queste divisioni più che dividere uniscono e niente appartiene a nessuno. Si sta come in una grande famiglia, dove colori, odori, cibi e tradizioni si mescolano per formare un unico insieme indistinto.

Questo pezzo di Luna sorge in un ex-salumificio abbandonato nella periferia di Roma.
Da fuori non penseresti mai che varcando la soglia di quella fabbrica sgangherata ti potresti ritrovare su un altro pianeta, ma appena entri da quel cancello un po’ arrugginito ti rendi subito conto dell’atmosfera diversa che si respira. Un’atmosfera lunare, dove ti senti più leggero sia per la minore forza di gravità, sia perché insieme le difficoltà si affrontano meglio.

Gli abitanti di Metropoliz, infatti, sulla Terra non avevano vita facile. Sono senzatetto bisognosi di un luogo in cui proteggere la propria famiglia, immigrati allontanati dalla società, comunità rom.
Alcuni di loro sono italiani, altri provengono dai luoghi più lontani e disparati dei quattro continenti:
Perù, Marocco, Santo Domingo, Ucraina, Eritrea, Romania e molti altri. È una rivendicazione dei propri diritti e un’accusa alla società odierna, che ha negato a queste persone casa, salute e lavoro.

Molti si sono interessati a questo fenomeno extraterrestre, tra cui filosofi, architetti, artisti, astrofisici, in apparenza bizzarri e più extraterrestri degli stessi metropoliziani. Ne sono nati progetti interessantissimi dal punto di vista artistico e antropologico, che hanno trasformato Metropoliz in un museo dal cuore pulsante. Il MAAM, Museo dell’Altro e dell’Altrove di Metropoliz, è uno dei musei di arte contemporanea più grandi d’Italia, aperto a un pubblico che vuole provare un’esperienza cosmica. Il cancello all’ingresso è tappezzato da cassette postali di diverse forme e dimensioni e tra un cratere lunare e l’altro ci sono cartelli stradali con indicazioni strampalate: “rilassati”, “non ti fermare”, “largo agli incontri”, “via alla riflessione”. I muri sono dipinti con colori sgargianti e danno libera espressione all’arte di strada con murales dalle forme aliene.

I registi Fabrizio Boni e Giorgio De Finis hanno saputo raccontare tutto questo e anche di più in un film-documentario dal titolo Space Metropoliz, disponibile alla visione in diverse puntate sul canale YouTube. Naturalmente colpisce con quanta dedizione e tenacia i metropoliziani costruiscano
un cannocchiale e un razzo, pronto al decollo per andare sulla Luna. Lo fanno utilizzando vecchie lamiere, bidoni e materiali di riciclo trovati nella fabbrica abbandonata. Ognuno disegna il proprio progetto su carta, suggerisce soluzioni e dà il proprio contributo. Il risultato finale è magnifico e il razzo fatto di lamiere e oblò di vecchie lavatrici decollerà davvero.

Viene da chiedersi per quale motivo artisti, antropologi e decine di altre figure dalle più varie qualifiche si interessino così tanto a realizzare tali progetti in questa comunità.
In altre parole, quand’è che l’arte incontra l’emarginazione? A quale scopo?
Forse perché Metropoliz è un mondo tanto fantasioso quanto estremamente concreto. I suoi abitanti sono persone che lottano tutti i giorni per un pezzo di pane e per la sopravvivenza della loro famiglia.
Da queste persone può derivare soltanto un’arte genuina, pura, priva di fronzoli.

Un razzo è un palazzo a tanti piani, una struttura a gradoni o addirittura una città verticale, da quello che emerge nei loro progetti. I disegni sono semplici, concreti e rappresentano la realtà circostante sotto nuove forme. In un mondo che va sempre di più verso l’astrattismo, il simbolismo e il criptico, riscoprire questo tipo di arte fa bene e rasserena gli animi.
Da una parte ci sono forme astratte e simboli che ci attraggono per la loro complicatezza e perché ci spingono a trovar loro un senso e un significato, dall’altra si riscopre la purezza e la genuinità dell’arte, che ci tiene coi piedi per terra e ci riporta alle origini, quando si lottava per la sopravvivenza, si doveva trovare un riparo dalla pioggia e dal freddo e bisognava procurarsi del cibo, esattamente come fanno i metropoliziani.

Potremmo associare questo tipo di arte alle pitture rupestri, che adornano le pareti delle grotte con rappresentazioni di bestiame e scene di caccia. Un’arte così semplice eppure così densa di significato, che esprime quali sono le priorità della vita. Proprio per questo, forse, si cerca di far avvicinare l’espressione artistica alle situazioni di difficoltà ed emarginazione, non solo banalmente per far conoscere al mondo queste realtà, ma anche per un fascino suscitato da una concretezza ormai perduta nella nostra società.

Space Metropoliz è il racconto della quotidianità dura e pragmatica di una comunità multietnica e allo stesso tempo favola di una migrazione esoplanetaria alla ricerca della terra promessa. Descrive una società multiculturale che potrebbe essere quella del futuro, in una città utopica dove non ci sono confini, non c’è razzismo e non esiste il possesso. Questa semplice espressione dell’emarginazione si è fatta arte e ha generato uno dei patrimoni più belli del pianeta, o per meglio dire, dell’universo.

I preziosi spunti di riflessione, che hanno reso possibile la stesura di questo articolo, sono stati suggeriti durante l’incontro “Seminare il Futuro” del progetto regionale Tratti Tracciati tra Territori.
Vi hanno preso parte Sabrina Maggiori e Pamela Ventura, rispettivamente direttrice artistica e presidente del Festival NotteNera, che ogni anno riesce a trasformare il piccolo borgo medievale di Serra de’ Conti in scenografia magico-onirica di mostre e spettacoli d’arte contemporanea. Inoltre, le esperienze uniche e significative di Andrea Fazzini del Teatro Rebis di Macerata hanno contribuito a dipingere più distintamente l’abbraccio tra arte ed emarginazione.